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 "Ogni forma di cultura viene arricchita dalle differenze attraverso il tempo,
attraverso la storia che si racconta
"

 

Gli Stati generali

                                                                                Cenni sulla “Felicità”in alcuni grandi Pensatori e nel Filangieri in particolare

  

Sant’Agostino (354-430) affermò che la felicità è il godimento della verità, che si identifica con Iddio stesso:”Chi pensa che esista un’altra forma di felicità, corre dietro ad un’altra gioia, ma non a quella vera, anche se la sua volontà non si distolga dall’immagine della gioia[1].

Biagio Pascal (1623-1662) scrisse anch’egli sulla naturale propensione dell’uomo alla felicità spirituale, esprimendosi in questi termini:”Chi pensa che esista un’altra forma di felicità, corre dietro ad altra gioia, ma non a quella vera, anche se la sua volontà non si distolga dall’immagine della gioia[2].

Il Leopardi (1798-1837) sostenne l’illusorietà della ricerca spasmodica della felicità “se quello che gli uomini cercano - scrisse-  vale lo sforzo e il dolore che costa, o se per avventura gli uomini non siano gioco di una spaventevole illusione, per cui si vadano allontanando dalla felicità per il furore stesso di conseguirla, e seguendo una disordinata foga degli appetiti, non facciano che alimentarne l’insaziabilità[.., l’uomo può essere felice solo a patto di essere qualche volta e in qualche parte infelice; contraddizione questa che giace in fondo a ogni forma di edonismo e che più si delinea e accentua, quanto esso si eleva  ” [3].

La felicità per il grande recanatese consisteva nella temperanza dei desideri e nella semplicità della vita, mentre Lucrezio (I sec. a.C.), con il quale Leopardi ebbe oggettivamente molte affinità, sviluppò una tesi di straordinaria ed avveniristica modernità, sostenendo che l’uomo, progredendo, non aveva fatto altro che raffinare i propri gusti e moltiplicare in tal modo i suoi bisogni, accrescendone l’ampiezza e l’intensità oltre i limiti del possibile. Pertanto la felicità, intesa come appagamento del desiderio e della conseguente quiete interiore, in realtà alimentando la tensione verso più alti e nuovi traguardi, era una condizione transitoria verso nuove mete e, quindi, paradossalmente, di nuove “infelicità”.

Noi contemporanei sappiamo peraltro che siffatta forma di infelicità perenne -come già nell’Ulisse dantesco- è in realtà il motore stesso di ogni progresso degli uomini, che fatti non furon “per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” [4].

Il poeta libano-americano Kahlil Gibran (1883-1931) affermò che “Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio  da ciò che hanno” [5].

Il Croce (1866-1952) colse l’essenza della felicità ne ”la disposizione dell’anima, che sa cogliere il punto giusto, accettare la necessità del travaglio e del dolore ed insieme superarli”, riflettendo sul fatto che “non c’è gioia che non sia insieme timore, sollecitudine e turbamento”. Il naturaliter christianus Croce affermò che l’irrequietezza che accompagna la condizione umana, si placa solo attraverso la “coscienza dell’universale”, cioè la coscienza religiosa,che non è quella della devozione esteriore che si appaga di ritualità formali, bensì quella dell’uomo peccatore che cade e si rialza, ed attraverso la crisi interiore può innalzarsi ad “uomo morale ed eroe[6].

All’elevazione morale concorre la cultura, nella consapevolezza che “la vita è continua educazione, che il sapere è unito all’imparare, che quando questa unità cessa, la vita si arresta, e non si chiama più vita, ma morte” [7]E sulla morte il Croce scrisse :”vero è che questa preparazione alla morte è intesa da taluni come un necessario raccoglimento della nostra anima in Dio; ma anche qui occorre osservare che con Dio siamo e dobbiamo essere in contatto tutta la vita e niente di straordinario ora accade che ci imponga una pratica inconsueta. Le anime pie di solito non la pensano così e si affannano a propiziarsi Dio con una serie di atti che dovrebbero correggere l’ordinario egoismo della loro via precedente, e che invece sono l’espressione ultima di questo egoismo”.

Il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925-2017) osservò acutamente che “Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato”.

Dopo questi rapidi cenni su come sia stato interpretato il concetto della felicità  da alcuni grandi del passato (con la stessa presunzione - da parte nostra- dell’ angioletto di S. Agostino, che voleva raccogliere con una conchiglia le acque di un mare immenso)[8], ci soffermiamo sul tema poco noto di una scienza del diritto che pose alle sue fondamenta la Felicità dell’Uomo, in un approccio tutt’altro che utopistico, ma radicato su solide e strutturate argomentazioni. Ne fu autore Gaetano Filangieri (1752- 1788), figura eminente dell’illuminismo riformista napoletano, fautore di una legislazione a carattere universale, per “facilitare a’Sovrani di questo secolo l’intrapresa di una nuova legislazione” [9]. Nella sua Scienza della Legislazione, ebbe come finalità principale il tema della felicità, quale obiettivo di una moderna legislazione sistematicamente ordinata ed orientata al bene comune, con delle intuizioni avveniristiche ed una straordinaria sensibilità economico- sociale, ancor più rimarchevole in relazione ai tempi in cui egli visse[10].

Il Filangieri fu l’ anti Machiavelli (1469-1527) per eccellenza, in quanto rifiutò tutte le strategie volte ad anteporre la Ragion di Stato alla virtù individuale, alla verità, alla fedeltà, alla giustizia, all’umanità, compendiate nel noto principio del “fine che giustifica i mezzi”. Viceversa il Filangieri sostenne che i governanti del suo tempo avevano progressivamente compreso che la vita e la tranquillità degli uomini, dovevano costituire il fine ultimo della loro politica. Vi era un mezzo indipendente dalla forza delle armi per giungere alla grandezza: “[che] le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale; che la bontà delle leggi è inseparabile dall’uniformità [11]; e che questa uniformità non si può ritrovare in una legislazione fatta tra lo spazio di ventidue secoli, emanata da diversi legislatori in diversi governi , a nazioni diverse[12]. Con la sua opera si prefissò che la filosofia potesse venire in soccorso ai governi, dato che “i Principi non hanno il tempo di istruirsi[13], per cui la sua Scienza della Legislazione accanto alle evidenti finalità sistematiche e classificatorie, avrebbe perseguito soprattutto scopi morali.

Prendendo le mosse da un’esegesi delle norme degli Stati antichi e moderni, alla ricerca dei principi universali e sempiterni del Giusto, a soli 19 anni elaborò il piano generale della Scienza della Legislazione,che avrebbe utilizzato”per innalzare il gran tempio della felicità del genere umano” [14]. Così “Il suo genio già cominciava a formare il sublime disegno di illuminare l’Umanità, di migliorarla, di renderla felice, con il rivolgerle alla cognizione dei suoi veri diritti, ed alle più utili ed interessanti ricerche”[15].

Innanzi alla proliferazione di leggi, sovente mal redatte, oscure, contraddittorie, volle riscoprire i sempiterni principi del diritto naturale, scrivendo un’opera monumentale che potesse avere una valenza universale per tutti i popoli, i Paesi, i tempi, quindi sub specie aeternitatis . Distinse egli la bontà assoluta delle norme da quella relativa, consistente la prima nella consonanza con i principi della Natura[16], la seconda nel rapporto con il diritto codificato -cangiante nel tempo e nello spazio-  determinato dal clima, dall’indole dei singoli popoli, dalla natura del terreno, dalla maturità del Popolo, dalla religione seguita, dall’ estensione del Paese[17] . La tranquillità del singolo doveva essere garantita dalla “Possibilità di esistere con agio; libertà d’accrescere, migliorare e conservare la sua proprietà; facilità nell’acquisto dei generi necessari o utili pel comodo della vita, confidenza nel governo, confidenza né magistrati;confidenza negli altri cittadini, sicurezza di non poter essere turbato, operando secondo il dettame delle leggi”. Le quali ultime, se non giovavano alla società apportando uno dei benefici in parola, erano assolutamente inutili [18]. Divise la sua opera in sette libri: principi generali, leggi politiche ed universali, diritto penale, educazione ed istruzione pubblica, legislazione ecclesiastica, diritto di proprietà, diritto di famiglia. La stampa del tempo vi dette ampia risonanza, sicché quei libri conseguirono una notorietà ed un plauso internazionali; ma non mancarono in patria rilievi critici da parte di coloro che erano stati colpiti dalle sue argomentate condanne verso i privilegi feudali ed ecclesiastici, con la conseguenza che i suoi scritti finirono con l’incorrere  nei rigori dell’Indice.

Nel campo penale Filangieri osservò che il timore della sanzione avrebbe potuto far diminuire il numero dei delinquenti, ma che il rimedio principale doveva essere la prevenzione da realizzare mediante l’Educazione (cioè l’istruzione), che doveva essere primariamente impartita attraverso la pubblica istruzione, funzionale al progresso della ragione.

L’esperienza”- affermò -”è quella che mi fa vedere nelle moderne società europee la istruzione e i lumi diminuire i tristi effetti della corruzione, ed innalzare il solo argine che oggi si oppone ai progressi del dispotismo e della tirannide” [19].
La virtù aveva “bisogno dell’istruzione pubblica, perché- scrisse-questa è necessaria per dettare le buone leggi, ed è necessaria per farle apprezzare e valere … In un popolo corrotto il passaggio dal vizio alla virtù suppone dunque il passaggio dall’ignoranza all’istruzione, dall’errore alla verità” [20].

“Bisognerebbe interamente ignorare l’istoria del progresso dello spirito umano, per ignorare i molteplici ed innegabili rapporti che vi sono tra l’istruzione pubblica e l’opulenza pubblica, tra lo stato del sapere e dè i lumi di un popolo e delle sue ricchezze. Cominciando dall’egizia e dalla caldea istoria , e discendendo fino ai nostri tempi, noi troveremo che dove comincia l’istoria del sapere, ivi cominciano i monumenti di questa mai mentita verità”.

Il Filangieri fu un cattolico non dogmatico, attentissimo alle condizioni degli ultimi, dei miseri, dei sofferenti, che erano in stridente contrasto con la fastosa opulenza delle classi più elevate. La sua “Scienza ” venne entusiasticamente accolta in tutta Europa e costituì una vera propria summa della storia del pensiero giuridico illuministico, come comprovato dalle traduzioni che ne furono effettuate in francese, inglese, tedesco e spagnolo. Pur nella rapidità del suo intenso passaggio terreno -morì ad appena 38 anni- lasciò un’immensa eredità pedagogica ai posteri, i cui cardini furono l’elevazione dei cittadini attraverso la diffusione più ampia possibile dell’istruzione, l’armonizzazione dei privati interessi con il bene comune, il collegamento della moralità pubblica con l’elevazione della cultura.
Scrisse con lo scopo ben definito e la consapevolezza di poter adempiere ad una missione universale, affermando “non scrivete mai per un uomo, ma per gli uomini, unite la vostra gloria agli interessi eterni del genere umano. E il vostro genio sempre utile sarà allora il contemporaneo di tutte le età, il cittadino di tutti i luoghi” [21].

Il suo intenso amore per la Patria, si innalzò a quello per l’intera umanità; il suo amore per la Giustizia, non scadde mai in un meschino rigorismo, avendo come orizzonte di riferimento la felicità universale, intesa non come metafisica astrazione, bensì come impegno costante di solidarietà verso gli afflitti, gli umili, gli oppressi, per i quali impegnò i suoi averi, restringendo le sue spese personali ai soli bisogni essenziali ”con gentile e raffinata pietà, elargendo con discrezione non ostentativa i suoi non preveduti e non implorati soccorsi” [22].
L’intera sua pur breve vita, mirò ad elevare la condizione degli uomini, e nel suo studio solitario ”mentre meditava in silenzio, la dolce immagine della felicità (la moglie) gli era sempre presente, e il rinfrancava nel corso delle più gravi fatiche e delle più lunghe vigilie” [23]. Il sentimento sacro dell’amicizia fu sempre da lui intensamente avvertito, scevroda què vani legami di convenienza e di rapporti, da quel reciproco commercio di modi apparenti e di velato amor proprio, di affettata sollecitudine e di indifferenza totale, cui – a torto- si accede un sì sacro nome: l’amicizia vestivasi [viceversa] nel suo cuore del più sublime carattere[24].

La felicità fu dunque per il Filangieri un sentimento evangelicamente dativo e mai fuorviato da meschini, egoistici interessi, per cui –anche nel campo religioso- con profetica sensibilità considerò sempre i fratelli che erravano, non come delinquenti da punire, ma come infelici da scusare o ignoranti da istruire.
Venuto a mancare in giovane età – come accennato- fu fonte esemplare di diritto ed etica per uomini della statura di Franklin (1706-1790), Goethe (1749-1832) e Napoleone (1769-1821), il qual ultimo  lo considerò come un Maestro per l’umanità intera[25]. La sua sensibilità cosmopolitica, ed il suo spirito universalizzante, lo collocano a buon diritto fra precursori ideali della comune Casa europea.

 

Avv. Prof. Tito Lucrezio Rizzo

(già Consigliere Capo Servizio Presidenza della Repubblica)

 

 

lente white NOTA PER IL LETTORE

L’articolo che segue è un saggio della dott.ssa Alessia Balsamo,

neolaureata in giurisprudenza e allieva del Prof. Tito Lucrezio Rizzo.

                                                                                                  

 

L’evoluzione della comunicazione istituzionale dei Presidenti della Repubblica


Volgendo uno sguardo al passato, è ben noto che i poteri del Capo dello Stato vennero conferiti in sede costituente con estrema circospezione, al fine di evitare la reiterazione -seppure in forma diversa- della figura di un uomo solo al comando, di cui la recente esperienza fascista aveva lasciato un inquietante retaggio. L’attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha evidenziato proprio questo aspetto in una recente dichiarazione (19/05/2021) davanti ai bambini di una scuola primaria di Roma: “quando mi sono preoccupato perché sapevo quanto era impegnativo il compito, due cose mi hanno aiutato: ho ottimi collaboratori ma soprattutto il fatto che in Italia, in base alla Costituzione, non c’è un solo organo che decide ma le decisioni sono distribuite tra tanti organi”. Il Presidente della Repubblica, già in sede di Assemblea costituente, venne configurato con scarse facoltà, tanto che il padre del diritto pubblico italiano, Vittorio Emanuele Orlando, affermò che contava meno del cessato Sovrano, il quale, a sua volta, aveva così scarsi poteri da essere appellato “Re travicello” [26].

Proponendo un excursus sui Presidenti che si sono succeduti, si evince il prevalere di un’interpretazione sostanzialmente sobria della funzione presidenziale da De Nicola fino a Leone, con l’eccezione di qualche esuberanza di ruolo da parte di Gronchi.       Un forte cambio di passo si avvertì per la prima volta a far data dalla Presidenza Pertini, il cui mandato fu caratterizzato da una sorta di colloquio diretto tra il Quirinale e il popolo, il che consentì di tenere saldo il legame tra le istituzioni democratiche e la gente comune, in un momento nel quale spinte eversive dell’ordinamento democratico, provenienti a quell’epoca dal terrorismo nelle sue varie manifestazioni, furono sconfitte anche grazie al personale carisma del “nonno Presidente” 27. Con la presidenza Cossiga si assistette ad una sorta di rivoluzione al quinto anno del suo mandato, non casualmente  coincidente con la caduta del Muro di Berlino, in seguito alla quale il Presidente poté ricorrere maggiormente allo strumento dell’esternazione, denunciando tutte le criticità di una democrazia che si mostrava in affanno.

Con il tempo è divenuto incongruo parlare di semplice ruolo arbitrale del Capo dello Stato, ma potrebbe risultare anche maggiormente incongruo ipotizzare nella sua figura una  funzione  governante, seppure de facto e non de jure. Come è noto, i più recenti Presidenti della Repubblica hanno dovuto esercitare il loro ruolo di garanti della Costituzione in un contesto inedito rispetto a quello delle forze politiche tradizionali, con la conseguenza di frequenti fibrillazioni di un Parlamento molto vivace nella contrapposizione tra i vari schieramenti. I Capi dello Stato hanno modulato l’esercizio delle loro attribuzioni esercitandole in maniera più o meno intensa, a seconda di quanto richiesto dalle cangianti esigenze di equilibrio della vita politica e istituzionale, “ora accentuando i compiti di garanzia, ora quelli di attivazione e impulso, ora i collegamenti e i raccordi tra poteri, ora la sintonia con l’opinione pubblica”  [27]bis.

Le più recenti presidenze Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella, hanno rappresentato differenti strategie interpretative delle proprie funzioni, sia per  la mutevolezza delle oggettive condizioni della politica nazionale, internazionale, economica e finanziaria, sia –naturalmente- per le diverse caratteristiche temperamentali dei singoli Capi dello Stato.

Le c.d. “esternazioni”- neologismo coniato a far data dalla presidenza Cossiga – hanno costituito nel loro uso più o meno esteso, una modalità espressiva ignota ai Padri costituenti, in quanto non esistevano le moderne modalità comunicative di massa.      In merito all’evoluzione di tale strumento, inizialmente la parola “esternazioni” divenne di uso comune a far data dal mandato cossighiano, ma con un significato sfavorevole, indicando non tanto un’ordinaria manifestazione del pensiero presidenziale, quanto la sua deformazione negativa di critica dai toni corrosivi, non compatibili con il ruolo di mediazione e di composizione dei conflitti, tipico di un organo concepito super partes [28] . Dopo il ricordato mandato, le esternazioni persero ogni sostanza corrosiva, rivelandosi una nuova forma negli orizzonti comunicativi del Colle.

Analizzando in particolare le più recenti presidenze Napolitano e Mattarella, la comunicazione si è venuta gradualmente ad ampliare, passando dai tradizionali strumenti radio-televisivi ai social media, ed aprendo così idealmente ai cittadini le porte della più alta istituzione dello Stato, prima accessibili soltanto attraverso il tradizionale mezzo della corrispondenza cartacea, che sopravvive residualmente.
Nella sempre più diffusa instabilità politica, dovuta anche al vigente sistema elettorale, il Colle è venuto ad assumere oggettivamente, un ruolo  sempre più intenso di equilibrio, e di stabilità e di mediazione nel c.d. “sistema Paese”, con positive ricadute nei  termini di immagine, di reputazione, di affidabilità politico-economica anche in ambito internazionale. In siffatto contesto, si è venuta a realizzare una fattispecie inimmaginabile nei tempi ordinari ed estranea allo spirito dei Padri costituenti, vale a dire la conferma del mandato ad un Presidente, Napolitano, il quale lo ha spontaneamente e responsabilmente autolimitato a solo due anni. Dall’analisi dell’attuale presidenza Mattarella in prossima scadenza, si può trarre la percezione di un ritorno alla terzietà arbitrale e perlopiù silente, che ispirò i redattori della massima Carta, nel definire la figura del Capo dello Stato.

Va sottolineato che l’attuale Presidente ha ”rivitalizzato”, anche attraverso le moderne tecnologie, quel rapporto speciale con i giovani che fu assai caro al remoto suo predecessore Pertini.

Un’altra scelta innovativa e “social” è stata quella di trasmettere le consultazioni sul canale ufficiale Youtube, collegandosi all’account del Colle, in modo da consentire al più vasto pubblico di seguire l’evento. A margine di ciò, uno dei maggiori costituzionalisti, Sabino Cassese, ha voluto sottolineare che l’attuale inquilino del Colle è stato costantemente “impegnato nel mantenere un rapporto con il Paese, probabilmente preoccupato del distacco tra Paese reale e Paese legale”.

Ci sia consentita una riflessione conclusiva: la Presidenza Mattarella, iniziata “sottovoce”, si è mantenuta costantemente misurata nei toni anche quando nei contenuti si è espressa sui principali argomenti della vita politica, avvalendosi delle più avanzate tecnologie comunicative. In tal modo si è realizzata una felice sinergia fra tradizione ed innovazione, nella sempiterna cornice di una Costituzione sempreverde, che porta assai bene i suoi 75 anni !

Alessia Balsamo

(Dottoressa in Giurisprudenza)

 

[1] S. Agostino, Le Confessioni, BUR, Milano, 1958, p.281.

[2] B. Pascal, Pensieri, BUR, Milano, 1952, p.153.

[3] S. Borra, Spiriti e forme affini in Lucrezio e Leopardi, Zanichelli, Bologna, 1934, pp.8-9.

[4] Dante, Divina Commedia  “Inferno”, XXIII.

[5] Cfr. amplius G. Ravasi, Scolpire l’anima,  Mondadori, Milano, 2020, p.152.

[6] Cfr. P .Bonetti, L’etica di Croce, Laterza, Bari, 1991, p.149 seg.

[7] Cfr. F .P. Casavola, Croce, la vita è imparare, ne “Il Messaggero”, 17 novembre 2012.

[8] Il noto episodio riguarda la presunzione della mente umana di voler comprendere -nella sua finitezza- il mistero di Dio uno  e trino.

[9] Cfr. N .Borsellino, W.Pedullà, Storia generale della letteratura italiana. Federico Motta ed., Milano, 2004,vol. VII, p.370.

[10] G. Filangieri, Scienza della Legislazione, Città del Sole ed.,Napoli, 1999, p.6.

[11] È la naturalis ratio di ciceroniana memoria.

[12] Il periodo di riferimento considerato dall’A. era  l’anno 303 a.C. con la Legge delle XII Tavole.

[13] Cfr. F .P .Casavola, Filangieri, scienziato del diritto, ne “La Repubblica”, 20 gennaio 2005.

[14] Cfr. al riguardo D.Tommasi, “Elogio storico del cavaliere Gaetano Filangieri”, Introduzione a La scienza della Legislazione, I, Filadelfia, 1819, p.IX.

[15] Ivi, p. XII

[16] È il principio ciceroniano del diritto naturale, consistente nel  id quod semper bonum et aequum est.

[17] Scrivendo sul tema della bontà relativa delle leggi -  pur interpretandolo  in maniera  diversa-  citò il pensiero del Montesquieu al riguardo.

[18] Cfr. G. Filangieri, La scienza della Legislazione. Piano ragionato dell’opera, L’Educazione, con nota a cura di Gerardo Marotta, La città del Sole ed., Napoli,1999, p.20.

[19] G. Filangieri, La scienza della Legislazione,  op. cit., p.57.

[20] Op. cit., p.65.

[21] Cfr. G. De Ruggiero, Il pensiero politico meridionale, Laterza, Bari, 1946, p.64.

[22] Cfr. al riguardo D. Tommasi, op. cit., p. LXXIV.

[23] Ibidem.

[24] Op. cit., p. LXXVII.

[25] Cfr. F.L.Berra, Filangieri Gaetano, in “Novissimo Digesto italiano”, vol. VII , Utet, Torino, 1961, p. 296 seg.

[26] Cit. V.E. Orlando, Seduta pomeridiana, 22 ottobre 1947, www.senato.it

27  T. L. Rizzo, I Capi dello Stato. Dagli albori della Repubblica ai nostri giorni 1946-2015, Cangemi Ed., Roma, p.177.

[27]bis Così si è rivolto Antonio Maccanico, allora Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, ai partecipanti al Convegno nazionale di studio sulla figura del Capo dello Stato nel nostro ordinamento, promosso dall’Università di Messina nel 1984.

[28] T. L Rizzo, Note minime sul potere di esternazione presidenziale, in “Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, n. 10/2012, p. 1001.

 

 

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