freccia arancio

 

 "I nostri sguardi, le nostre parole, restano il confine che di continuo

cambia tra le cose andate e quelle che vengono"

 

Lo sguardo degli altri

 

Peperoni cruschi

 

Nessuno storca il naso se comincio a tavola.
Coi “peperoni cruschi“. Li ho scoperti nella prima visita a Matera , e il mio solo rammarico è di aver incontrato l’una e gli altri troppo tardi. Succede spesso di rimandare costantemente al giorno dopo l’appuntamento con quello che ci è più vicino.
E così , io leccese giramondo , ansioso di curiosare – come  ho avuto la fortuna di fare- in ogni angolo del pianeta , dalle isole Svalbard (Circolo Polare Artico) a Ushuaia (Circolo Polare Antartico), ho aspettato la bellezza di 60 anni prima di mettere  piede nella meraviglia sull’uscio di casa.
Sono debitore agli amici materani che mi invitarono a presentare in città, una decina d’anni fa, uno dei miei  libri sulla  mia seconda patria, l’Inghilterra. E pensate  la sorpresa quando girando per i vicoli stretti e scoscesi tra i Sassi mi accorgo che la seconda lingua  più parlata dopo l’italiano è proprio l’inglese.
Nelle sue varie sfumature, dall’ estuary English londinese allo slang newyorkese al cut-glass accent  di qualche  studioso oxoniense.

Avevo letto da qualche  parte che la  bellezza della Matera ritrovata, la Matera recuperata all’abbandono e all’incuria, l’aveva trasformata in un polo attrattivo internazionale  ma non mi aspettavo che fosse diventata il domicilio stabile di una bella fetta di intellighentia  globale.
Si capisce che qualche anno dopo, quando in palio c’era  il titolo di Capitale europea della cultura, Matera abbia vinto la nomination battendo la mia splendida Lecce: successo meritatissimo per la creatività , l’operosità dei materani,  la loro capacità di fare dei Sassi un brand, come si dice in gergo, un marchio di rinomanza mondiale, ribaltando l’immagine della miseria e del degrado nel segno di una cultura antica e di una estetica  unica e irripetibile.
Mi accorgo che  ho abbandonato  i “peperoni cruschi” a inizio pranzo, e spero che  mi perdoni  l’amico Francesco Abbondanza ( che  nomen-omen per un grande ristoratore come lui !) se non mi diffondo sul resto del fantastico menù di quella mia prima serata materana. Ma proprio la memoria, sapida dei suoi piatti lucani, ha dato il via a un flusso di ricordi che premono con la forza delle emozioni durature.
Il primo impatto fu con la Casa Cava, che era il luogo prescelto per la mia conferenza. Non credo, anzi sono assolutamente sicuro  di non aver mai goduto in vita  mia, né prima né dopo, di un palcoscenico così straordinario.
La Cava, e qui bisogna rendere omaggio a chi ha realizzato questa  fantastica  operazione di recupero e valorizzazione,  offre un esempio  unico di fusione  perfetta tra bellezza e funzionalità, tra suggestioni di un passato arcaico e  proiezione in un futuro capace del dono dell’armonia.
Non è questa in fondo l’utopia che  ci ostiniamo a  immaginare , per quanto consci della sua impossibilità ?
Matera sembra  provarci in un presente che  forse era difficile perfino da sognare, e la conferma che  non è solo una mia impressione  ma la manifestazione di un progetto coerente e consapevole la trovo al MUSMA,  nelle  gallerie ipogee veramente sbalorditive.
Uso  questo aggettivo perché descrive  al meglio la mia reazione stupefatta all’ingresso nell’unico museo al  mondo che espone  non solo le sculture in mostra  ma se stesso, in una simbiosi tra  le creazioni artistiche e l’arte della Creazione che non presenta molti altri esempi in giro per il globo.
Le sculture “in grotta”, che  offrono il meglio della ricerca contemporanea in tema di forma, sembrano trovare  nell’ambiente rupestre  un habitat naturale, quasi che fossero anch’esse opere della razza di titani che  ha creato nella materia bruta della roccia  un  labirinto  di spazi iperurani. Ma  poi basta spostarsi sui fianchi della gravina, tra le chiese rupestri che  ospitarono cenobi ed eremiti, per avere conferma che quella razza siamo noi.
Se questi furono, come una volta si definiva a scuola il Medioevo, “secoli bui”, allora benedetta quella oscurità perché sembra capace di illuminare  la nostra coscienza molto più di mille lampade a led. Nella Cripta del Peccato Originale gli affreschi dell’VIII secolo, quando ancora i nostri padri longobardi dominavano queste terre, lasciano senza fiato: l’uomo e Dio, la caduta e la speranza, il limite e l’infinito .
La vivacità dei colori recuperati da  un restauro esemplare, la vitalità della natura dipinta che  balza  incontro dalle ruvide  pareti della grotta, la ieraticità delle gerarchie celesti che sembrano profumare dell’incenso e delle preghiere  dei secoli trascorsi.

Qui c’è Matera, sul crinale delle nostre radici e del nostro futuro.
E per noi visitatori contemporanei, sempre distratti dal rumore di sottofondo della quotidianità, questi momenti sospesi tra il mondo ipogeo dei Sassi e l’aerea vertigine della gravina che  li recinge, sono autentici attimi di agnizione.
Qui siamo già stati, questi siamo noi. Tutti Ulisse senza saperlo.

 

Antonio Caprarica

(Giornalista e scrittore)

 

 Ascolta il testo con la voce di Cosimo Frascella

 

freccia arancio Torna a Rubriche

 

 

Social

facebook     instagram     youtube

newsletter

 

Inserisci il tuo indirizzo email per ricevere le notizie dal Circolo "La Scaletta" sulla tua posta elettronica.