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"Come un’esistenza tutta di madreperla che solamente di luce si nutra, ed eterna duri"

 

Camere con vista

L’estetica senza tempo nel Palazzo dei Duchi Malvinni Malvezzi

 

Nel punto più alto della città antica di Matera, in quel luogo che registrò per primo la nascita di un vero nucleo urbano, sorge il palazzo Malvinni Malvezzi. Quel nodo nevralgico, ribattezzato Civita per indicare proprio l’organizzazione del centro abitato, rappresenta il sito di stratificazioni storiche di secoli e di addensamento di storie e poteri.
Fino alla metà del XV secolo, infatti, sul promontorio sorgeva, assieme alla cattedrale romanica, il grandioso castello normanno risalente all’XI secolo. Questo, composto da otto torri massicce, fungeva da presidio difensivo per la città.
Dopo trecento anni dalla sua edificazione, nel 1448, il feudatario della città, Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Principe di Taranto e Conte di Matera, promosse una riqualificazione dell’area su cui insisteva il castello. Quest’ultimo, in effetti, risultava abbandonato e degradato poiché aveva perduto la sua funzione principale a causa dell’espansione del nucleo abitato ma anche per alcune invenzioni come la polvere da sparo, perciò il Conte concesse a persone appartenenti al ceto elevato di acquistare porzioni della struttura, di abbattere le torri e di costruirvi al loro posto le proprie dimore gentilizie.
Uno dei beneficiari di detta concessione fu Erennio Malvindi, che iniziò la secolare costruzione del palazzo in questione.
Il palazzo non fu subito concepito con lo sviluppo attuale, ma il suo risultato è il frutto di una serie infinita di aggiunte nel corso dei secoli. Infatti il primo nucleo doveva essere stato concepito come una casa palaziata, con dunque un numero esiguo di sale; a queste ne furono aggiunte molte altre con acquisizioni di stanze e case confinanti, che furono inglobate, modificate e riadattate, creando un gioco intricato ma allo stesso tempo ben organizzato.
A dare però la facies riconoscibile ancora oggi sarà l’intervento a cavallo tra il XVIII e XIX secolo con l’avancorpo prospiciente piazza Duomo. Negli ultimi anni del ‘700 e per i primi del nuovo secolo, infatti, si diede avvio alla realizzazione di un progetto su grande scala.
Da quando Matera era stata nominata, nel 1663, Capoluogo della Basilicata, era iniziato un vero e proprio fermento edilizio che aveva portato ad un abbellimento generale della città.
Molte chiese nel corso del XVIII secolo furono ingrandite e restaurate, altre costruite ex novo; e così anche le famiglie nobili decisero di compiere le stesse operazioni, conferendo maggiore importanza ai propri palazzi, abbelliti in modo più fastoso. Fu quindi ampliato anche il palazzo Malvinni Malvezzi con la sua facciata e il nuovo ingresso su piazza Duomo; in una lettura più intimistica si potrebbe osservare come la mole della facciata provi a sfidare la sontuosa architettura duecentesca, quasi ponendo in una sfida continua il potere temporale con quello spirituale.
Nonostante ciò, la sua facciata è di un sobrio e composto neoclassico, improntata su un disegno diviso in parti tramite fasce aggettanti.
La facciata risulta caratterizzata dalla lunga balconata del primo piano, sorretta da 18 mensoloni decorati, su cui si aprono le tre aperture incorniciate e ingentilite da un timpano rotondeggiante. Il secondo piano ospita sempre tre aperture ma alla romana, con timpani triangolari.
Al piano terra, invece, vi sono due portoncini di accesso ad ambienti di servizio e al centro trova posto il grande portone di ingresso, munito di un portale con lesene aggettanti.
Alla sobrietà esterna si contrappone una sontuosità recondita nei saloni interni. Già lo storico Giuseppe Gattini, nel 1882, definì il palazzo come munito «con assai decorosa rappresentanza», lasciando intendere nella sua fugace descrizione la bellezza di ambienti intrisi di storia secolare. Fino a qualche tempo fa risultava difficile immaginare questo splendore, eclissato per troppo tempo dall’incuria e dall’abbandono, ma oggi il palazzo è tornato a dare sfoggio di sé.
Di notevole magnificenza sono infatti alcune sale del piano nobile, in cui sopravvivono variopinti affreschi sulle volte e persino alcuni arredi originali. In particolar modo si tratta di tre sale che conservano il rifacimento della fine del XVIII secolo, le cui tracce sono reperibili tanto nei decori parietali, quanto in uno splendido ciclo pittorico.
Questo è composto da quattordici tele che hanno per tema episodi derivanti dal mito o da poemi classici, ravvivate però da cornici lignee di pregevolissima fattura, che con la loro sontuosità dichiarano il gusto che stava imperando nella Capitale del Regno a cavallo tra i due secoli e di cui le famiglie aristocratiche facevano sfoggio nelle loro dimore di provincia.
Assieme a queste vi è un’altra enfilade di stanze che merita di essere descritta: si tratta proprio della parte di rappresentanza utilizzata dai primi decenni del XIX secolo e si sviluppa a partire da un corridoio con scalinata in marmo e decori neopompeiani, procede con un salotto dalle linee molto gentili e raffinate e culmina poi nel magnifico salone delle feste. Questo, assieme alla stanza attigua utilizzata anche come alcova e quindi camera nunziale, rappresenta il nucleo più aristocratico del palazzo.
Anche questi ambienti conservano traccia dei decori delle volte, con volatili, canestre di frutta e strumenti musicali, tutti nei toni pastello. Non è difficile immaginare questi ambienti utilizzati per grandi ricevimenti e feste da ballo anche grazie agli arredi superstiti che ancora si possono ammirare. Si tratta di due grandi candelabri con gocce di cristallo, quattro enormi specchi posti simmetricamente e sette zinefre, ovvero le strutture lignee che sorreggevano i tendaggi, tutti elementi muniti del blasone di famiglia posto centralmente.
Lo stemma, ripreso sul grande arco che divide le due stanze, posto con emergente grandiosità, ha necessità proprio di dichiarare e rivendicare l’importanza della famiglia.
Il primo ad aver tracciato un’analisi storico-genealogica sui Malvinni Malvezzi è stato lo storico Giuseppe Gattini nel 1888, ricercando nel suo vasto archivio notizie riguardanti la famiglia, a cui si sono aggiunti, nel tempo, altri storici e studiosi. Verosimilmente la famiglia, proveniente da un paese in Terra d’Otranto, si sarebbe trasferita a Matera nel XV secolo. Ed infatti il primo di cui abbiamo notizia è Erennio, con il documento dell’acquisizione del suolo nel castello, da cui sarebbe poi discesa l’intera stirpe.
La famiglia partorì valorosi uomini e donne che, nei secoli, contribuirono a scrivere la storia della città. Molti diedero lustro a questo casato, accrescendo nel tempo il patrimonio economico, le proprietà terriere, stringendo unioni matrimoniali con le emergenti famiglie dell’aristocrazia locale e del circondario e costruendo uno dei palazzi più articolati e sontuosi della città. Ad accrescere ancor di più lo status sociale della famiglia ci pensò Domenico, che nel 1734 acquistò il titolo di Duca su un feudo in Abruzzo che ribattezzò Santa Candida, con diploma dell’imperatore Carlo VI.
Molti personaggi, come era uso nei secoli passati, assursero ad alte cariche: divennero paggi, camerlenghi, sindaci e capitani di fanteria.     Va poi ricordato Giulio Malvinni Malvezzi, vissuto sino al 1928, che intraprese la carriera ecclesiastica, divenendo prelato a San Pietro a Roma, al fianco di Papa Leone XIII. Suo fratello Luigi fu l’ultimo a godere dell’intero patrimonio che pian piano iniziò a frazionare; fu venduto, dai suoi discendenti, anche il palazzo di piazza Duomo.
Ad acquistarlo fu l’ente Provincia nel 1960 e che dopo solo due anni ebbe necessità di un sito dove collocare il nascente liceo scientifico. Si pensò dunque di collocare le aule nelle prestigiose sale del palazzo, testimonianza fulgida di quel glorioso passato; furono disposti nuovi servizi mancanti, a volte anche distruggendo importanti testimonianze storiche e artistiche. Nei primi anni ‘70 il palazzo fu utilizzato come sede del Conservatorio “E.R. Duni” e in molti ricordano i saggi musicali tenuti nello splendido salone dirimpetto alla facciata laterale della cattedrale.
Tutto questo fu possibile fino al 1980 quando, a causa del brutale terremoto dell’Irpinia e a seguito di alcuni dissesti, fu prevista la chiusura del palazzo che segnò il suo nefasto declino.
Solo dopo diversi decenni si è reso protagonista di un faticoso lavoro di consolidamento e restauro che ci ha restituito la sua immensa e offuscata bellezza[1]. Per la sua importanza storica e artistica sarebbe auspicabile possa tornare ad essere un bene fruibile per tutti, maturando il privilegio di poter godere di questa gemma preziosa del nostro patrimonio che risulta essere l’esempio per antonomasia che meglio esprime il concetto di estetica.
È infatti riuscito a valicare il concetto di tempo, plasmando la sua architettura, modificandosi a seconda dei nuovi gusti dell’arte, con il passare dei secoli e persino cambiando la sua funzione, ma sempre tenendo in serbo la sua intoccata bellezza, percepibile da ogni nostro senso. Ciascuno di noi, al suo interno, è catapultato in un turbinio di emozioni disparate; esso rappresenta lo scrigno di dolci ricordi misti a evanescenti sogni di memorie passate.

 

 

Pierluigi Moliterni
(Studente di architettura, Politecnico di Torino)

 

[1] Il tema sarà approfondito in un volume monografico sul palazzo di prossima pubblicazione, curato dallo scrivente in collaborazione con Isabella Marchetta.

 

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Palazzo Malvinni Malvezzi, interno. Foto Ignazio Olivieri, Fai

 

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